Le società a partecipazione pubblica possono fallire? Cassazione civile , 22 febbraio 2019, n.5346, sez. I.
Sono fallibili le società di capitali con partecipazione pubblica. I giudici della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 5346/19, depositata il 22 febbraio 2019, chiariscono che il cosiddetto ‘controllo analogo’ esercitato dall’amministrazione sulla società partecipata serve a consentire all’azionista pubblico di svolgere un’influenza dominante sulla società, se del caso attraverso strumenti derogatori rispetto agli ordinari meccanismi di funzionamento, così da rendere il legame partecipativo assimilabile a una relazione interorganica; e tuttavia questa relazione interorganica non incide affatto sull’alterità soggettiva dell’ente societario nei confronti dell’amministrazione pubblica, dovendosi mantenere infine pur sempre separati i due enti – quello pubblico e quello privato societario – sul piano giuridico-formale, in quanto la società in house rappresenta pur sempre un centro di imputazione di rapporti e posizioni giuridiche soggettive diverso dall’ente partecipante.
Inoltre, gli Ermellini, conformandosi al recente orientamento di legittimità, (v., Cass. 3196/17), che ribadisce l’orientamento già divisato nel 2013, sottolineano che l’art. 1, l.fall., esclude dall’area della concorsualità gli enti pubblici, non anche le società pubbliche. Per queste trovano applicazione le norme del codice civile (art.4, comma 13, del d.l. n. 95/2012, conv., con modif., dalla l. n. 135 del 2012, e, quindi, art. 1, comma 3 del d.lgs. n. 175/2016), nonché quelle sul fallimento, sul concordato preventivo e sull’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi (art. 14 d.lgs. n. 175/2016) e non hanno fondamento ‘le suggestioni dirette alla compenetrazione sostanzialistica tra tipi societari e qualificazioni pubblicistiche, al di fuori della riserva di legge di cui all’art. 4 della l. n. 70/1975, che vieta la istituzione di enti pubblici se non in forza di un atto normativo. La scelta del legislatore di consentire l’esercizio di determinate attività a società di capitali, e dunque di perseguire l’interesse pubblico attraverso lo strumento privatistico, in ogni caso comporta che queste assumono rischi connessi alla loro insolvenza ‘pena la violazione dei principi di uguaglianza e di affidamento dei soggetti che con esse entrano in rapporto e attesa la necessità del rispetto delle regole della concorrenza, che impone parità di trattamento tra quanti operano all’interno di uno stesso mercato con identiche forme e medesime modalità’.
L’art. 1 della L. F. esclude dalla disciplina del fallimento solo gli ‘enti pubblici’ (e non ‘le società pubbliche’). L’art. 4, comma 13, del d.l. n. 95/2012, meglio noto come spending review, ha esplicitato in via di interpretazione autentica, la regola in forza della quale tutte le disposizioni, anche di carattere speciale, in materia di società a totale o parziale partecipazione pubblica, si devono interpretare ‘nel senso che, per quanto non diversamente stabilito e salvo deroghe espresse, si sarebbe dovuto applicare comunque la disciplina dettata dal codice civile in materia di società di capitali’. Inoltre, anche il decreto legislativo di attuazione della specifica delega governativa in tema di società partecipate da amministrazioni pubbliche, il d.lgs. n. 175/2016, ha riconosciuto la piena valenza della predetta regola, inserendo una specifica previsione, all’art. 14, la quale chiarisce che le società a partecipazione pubblica sono soggette alle disposizioni sul fallimento, sul concordato preventivo, ed anche a quelle in materia di amministrazione straordinaria della Legge Marzano e della Legge Prodi.
Il ‘controllo analogo’ esercitato dall’amministrazione pubblica è il presupposto per l’affidamento diretto in favore delle società in house. Tra i requisiti definitori della cosiddetta società in house, viene costantemente riportata la necessità della sussistenza di quella specifica forma di controllo da parte dell’ente, o degli enti pubblici di riferimento, costituita dal ‘controllo analogo’ sulla società, chiamata ad espletare il servizio affidatole senza che si sia previamente espletata la gara pubblica. In questi termini si può affermare che il controllo analogo rappresenta una delle condizioni poste dal legislatore europeo che consente ad un ente pubblico l’affidamento diretto di un servizio pubblico locale ad una società partecipata, in quanto la società è un’entità distinta solo formalmente dall’ente pubblico. In questo senso può, quindi, affermarsi che il controllo analogo è una delle condizioni che, secondo le normative comunitarie, legittimano regioni, province e comuni ad affidare direttamente la gestione di un servizio pubblico locale ad una società a capitale interamente pubblico e partecipata.
Le società in house sono soggette alla disciplina privatistica delle società di capitali. Pertanto, la natura di ente in house deriva da una visione sostanziale del fenomeno tipico dell’approccio funzionale seguito in sede europea, nell’ambito del quale gli istituti giuridici elaborati a livello sovranazionale sono applicati sulla base della reale essenza della fattispecie concreta, a prescindere dalle qualificazioni formali vigenti negli ordinamenti dei singoli Paesi membri. Resta intatta la considerazione, però, che nell’ambito dell’ordinamento nazionale – che solo rileva ai fini specifici – non è prevista, per le società in house, così come per quelle miste, alcuna apprezzabile deviazione rispetto alla comune disciplina privatistica delle società di capitali, nel senso che la posizione dei comuni all’interno della società è unicamente quella di socio in base al capitale conferito. Donde soltanto in tale veste l’ente pubblico può influire sul funzionamento della società, avvalendosi non di poteri pubblicistici ma dei soli strumenti previsti dal diritto societario, da esercitare a mezzo dei membri presenti negli organi della società.
I giudici di Piazza Cavour, pur riconoscendo che nelle società di capitali con partecipazione pubblica, per la loro peculiare genesi, per lo specifico fine parapubblicistico dell’attività esercitata, per il caratterizzante rapporto con i soci pubblici detentori del capitale e per l’esercizio, comunque, di un’attività d’impresa in un regime astrattamente concorrenziale, coesistono dinamiche pubblicistiche e meccanismi privatistici, hanno chiarito che dal concorso di norme di diritto pubblico e di diritto privato non può desumersi l’esistenza di una qualche previsione che escluda che una società a partecipazione pubblica, organizzata in forma imprenditoriale, possa essere sottratta alla disciplina fallimentare.
Lascia un commento
Devi essere connesso per inviare un commento.