Il piano di risanamento.
Prima di procedere ad un’analisi dei principali strumenti attualmente a disposizione per la gestione e soluzione delle crisi aziendali, occorre sottolineare che nessuna crisi sia intrinsecamente irrecuperabile, in quanto il problema non è tanto quello dell’esistenza di una soluzione, quanto quello della convenienza economica e della disponibilità degli attori del risanamento a fornire i mezzi necessari per la riuscita dell’operazione di recupero delle condizioni di equilibrio. La crescente diffusione della crisi finanziaria ed economica ha coinvolto, e coinvolge tuttora un numero sempre maggiore di imprese; ciò determina, in una situazione caratterizzata da margini di redditività piuttosto ridotti, la difficoltà a generare volumi di vendita sufficienti, almeno, al raggiungimento del punto di pareggio. Ne consegue inevitabilmente l’uscita progressiva dal mercato delle imprese meno efficienti e meno innovative.
Affinché la crisi possa essere correttamente ed efficacemente gestita bisogna individuare strumenti idonei che contemperino il principio di efficienza e quello di equità evitando così il sopraggiungere del fallimento20. “Le condizioni di efficienza richiedono la conservazione del massimo tra il valore di funzionamento dell’impresa e il valore di liquidazione evitando distruzioni di valore non necessarie” (Crisi d’impresa e restructuring, 2013, p.46); le condizioni di equità, invece, richiedono una parità di trattamento tra tutti i creditori dell’impresa in crisi nel qualunque strumento di gestione delle crisi deve tenere presente aspetti comuni alle crisi d’impresa quali ad esempio il diritto dei creditori a ottenere il rimborso dei loro crediti, l’interesse di molti stakeholders, e della collettività, l’economicità della gestione delle crisi l’incentivazione di comportamenti virtuosi e l’eliminazione delle imprese non risanabili. Indipendentemente dal piano di risanamento che l’impresa in crisi ha posto in essere e dallo strumento giuridico che si è scelto per la sua finalizzazione, l’operazione di salvataggio deve sempre avere caratteristiche peculiari tra le quali quella della tutela del valore dell’impresa e la salvaguardia dei diritti dei creditori. L’analisi della complessiva economia dell’azienda acquista significato in serie di ammissione delle procedure concorsuali cosiddette minori e in sede di stima dell’utilità alternativa delle procedure. Il manifestarsi della crisi, infatti, non implica necessariamente che, per i creditori, il valore dell’impresa sia maggiore se l’attività dell’azienda viene interrotta e gli asset liquidati, piuttosto che nell’ipotesi di continuazione dell’attività, in particolare dopo avere effettuato una profonda ristrutturazione che ne abbia rimosso le cause principali. Pertanto se i flussi economici generati in futuro dall’impresa sono superiori a quelli ottenuti con la liquidazione, il valore dell’impresa sarà di certo maggiore nell’ipotesi di continuazione aziendale. Tale ipotesi si verifica anche nel caso di cessione del complesso aziendale in funzionamento una volta che si sono ricercate le condizioni di maggiore favore per l’imprenditore. Per le seguenti ragioni è necessario predisporre un sistema di gestione dell’insolvenza che minimizza il rischio di liquidazione delle aziende per le quali esistono fondate prospettive di ripresa e di distribuzione di ulteriore ricchezza. Di conseguenza, è maturata l’idea di dare sempre più riconoscimento e protezione agli accordi negoziali come rimedi alternativi.
La composizione negoziale della crisi si basa sul presupposto di una prospettiva di reversibilità della crisi ma anche di liquidazione alternativa all’apertura di una procedura concorsuale. La gestione stragiudiziale si basa sui seguenti presupposti: 1) il soggetto economico e i maggiori creditori dell’impresa in crisi verificano la possibilità di un accordo di massima al fine di evitare la formale dichiarazione dello stato di insolvenza e l’apertura di una procedura concorsuale; 2) a questo punto l’impresa e i creditori fanno predisporre un piano di ristrutturazione, eventualmente concedendo garanzie ai creditori; 3) sulla base di tale piano viene preparata una convenzione che include una serie di provvedimenti finanziari; 4) la convenzione viene poi sottoposta al comitato dei creditori e risulta approvata ove ottenga la prefissata percentuale di adesione21. “Le soluzioni stragiudiziali delle crisi sono, dunque, incentrate sulle rinegoziazioni dell’indebitamento, le quali si concretizzano nella sottoscrizione di apposite convenzioni con i creditori bancari e commerciali” (Crisi d’impresa e restructuring, 2013, p. 50). L’accordo stragiudiziale è ritenuto più agevole in quanto permette di evitare il rischio di una liquidazione inefficiente, consentendo, nel contempo, una percentuale di recupero dei crediti più elevati di quelli ottenibili nelle procedure concorsuali. Inoltre detto accordo è più efficiente sotto il profilo allocativo e operativo, in quanto adattabile alla specificità dei singoli casi.
Tra i fattori che possono ostacolare l’affermarsi di una soluzione extragiudiziale alla crisi di impresa, quello più complesso appare il coordinamento dei creditori, i quali dispongono del potere di decidere se l’impresa possa proseguire l’attività o debba essere assoggettata alla procedura fallimentare. Un’altra problematica degli accordi stragiudiziali è costituita dalla frequente necessità di erogare nuovi mezzi finanziari all’impresa in crisi, onde permettere la ristrutturazione e il rilancio. A tali problematiche si aggiunge l’eventuale ritardo nell’avvio delle operazioni previste dal piano e le difficoltà di controllo sulla corretta e tempestiva esecuzione dello stesso oltre al mancato coordinamento tra i creditori e al perseguimento, da parte di alcuni di essi, di obiettivi personalistici. La proposta ai creditori, anche solo bancari, infatti, viene esaminata e approvata in base a considerazioni non sempre tecniche ma di mera convenienza del singolo creditore. L’effetto di tale comportamento e che le banche più esposte devono, in tal caso, farsi carico dell’esdebitazione dell’impresa nei confronti dei creditori e delle banche non aderenti. A ciò si aggiunge che non sempre la risposta di adesione dei creditori giunge in tempi brevi, anzi il più delle volte tali risposte giungono quando le opportunità, che sono alla base del piano, sono svanite o sono divenute molto più onerose. Qualora il piano viene approvato e reso valido la verifica sulla sua effettiva esecuzione viene affidata ad una banca capofila ovvero a un comitato di banche cosiddette di sorveglianza dalle quali sarà difficile ottenere indirizzi e decisioni operative, scontando, nell’ipotesi di una futura dichiarazione di fallimento, esse stesse il rischio di essere considerate da parte del curatore come una sorta di gestore di fatto dell’azienda. Alla luce di quanto esposto, è opinione diffusa, che la rinegoziazione privatistica sia la risposta più idonea che si possa fornire a una crisi d’impresa in considerazione dell’inefficienza dei costi, diretti e indiretti, connessi alle procedure fallimentari e all’esito, non sempre favorevole per i creditori, delle stesse. La salvaguardia dell’impresa consente invece di raggiungere nella maggior parte dei casi risultati migliori sia sotto il profilo dell’efficienza che di quello della soddisfazione del ceto creditorio, di quelli raggiungibili da una procedura fallimentare. La rinegoziazione extragiudiziale presenta una molteplicità di configurazioni possibili, in funzione delle diverse tipologie di imprese coinvolte, rappresentando uno strumento flessibile che consente all’imprenditore di tentare soluzioni alternative al fallimento sia attraverso la ristrutturazione del passivo sia mediante la predisposizione di un piano di turnaround. Gli accordi stragiudiziali possono condurre tutti gli stakeholders a risultati maggiormente soddisfacenti, in termini sia di flessibilità che di efficienza temporale ed economica. La maggiore efficienza dello strumento prescelto è correlata alla possibilità di poter procedere al risanamento in continuità aziendale in modo da poter mantenere almeno in parte i valori materiali correlati all’organizzazione e al funzionamento dell’impresa che, inevitabilmente, andrebbero dispersi in caso di fallimento. “Il principale vantaggio di questo tipo di accordi consiste nella presenza di previsioni che ne limitano i contenuti, le parti pertanto, iniziano a comporre il piano con i creditori, secondo le modalità che ritengono più convenienti, indicando le percentuali, le modalità, il contenuto e gli obiettivi, facendo in modo di adattare ciascun progetto di risanamento alle caratteristiche e alla possibilità dei partecipanti, nonché alle condizioni del mercato sul quale opera l’impresa”.
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