Le condizioni di equilibrio della struttura finanziaria.
Un’azienda si trova in una situazione di equilibrio finanziario se riesce a controllare nel breve periodo il divario tra entrate e uscite monetarie e se presenta una struttura finanziaria coerente con la strategia d’impresa. altrettanto importante che evidenzi una dinamica del capitale circolante ben correlata con l’evoluzione del fatturato. Un’ulteriore caratteristica è la corretta relazione tra rendimento del capitale investito e costo delle risorse finanziare utilizzate, tra reddito operativo ed oneri finanziari e tra valore economico delle attività e delle passività. Infine deve presentare un’accettabile relazione tra flusso di cassa complessivo e sviluppo aziendale e una struttura finanziaria che massimizzi il valore dell’impresa. da precisare che raramente un’impresa presenta tutti i requisiti citati, perciò sarà a discrezione dell’analista dare più o meno peso ad ognuno di questi, e tale discrezione tuttavia non deve essere intesa come una scelta del tutto soggettiva ma dipende anche dall’oggetto dell’analisi.
In relazione al primo parametro l’impresa è in equilibrio finanziario se riesce a far fronte alle uscite monetarie generate dalle operazioni di gestione con le proprie entrate. Il concetto di equilibrio finanziario è dinamico, in quanto deriva dal confronto di questi due flussi misurati nel tempo. Ne consegue che esso dipende non solo dall’entità delle entrate e delle uscite ma anche dalla loro periodicità. In altri termini, la cadenza delle prime può non coincidere con quella delle seconde, sicché, in un determinato arco di tempo il flusso delle entrate differisce da quello delle uscite anche se, i ricavi e i costi da cui derivano si equivalgono. Tale differenza, se concerne un’eccedenza delle uscite sulle entrate, genera il ricorso a fonti esterne di finanziamento esterne e, nel caso contrario, un eccesso liquidità. Tuttavia bisogna specificare che durante la fase di realizzazione dei piani di investimento, spesso, le uscite possono superare le entrate ma bisogna sempre controllare che tale sbilancio non porti la posizione finanziaria complessiva in stati di debito eccessivo. Tale concetto è molto importante dal punto di vista giudiziario poiché la definizione di insolvenza della legge fallimentare è riconducibile ad uno sbilancio di tesoreria. Per le grandi imprese di successo tale disavanzo non è così rilevante, poiché, se possiede una buona formula competitiva e una buona considerazione da parte dei finanziatori, la differenza può essere facilmente assorbita con idonei interventi finanziari. Nel breve periodo i ricavi non sempre identificano i flussi di cassa in entrata e allo stesso modo anche i costi non sempre identificano i flussi di cassa in uscita; nel lungo periodo invece i ricavi coincidono con il cash inflow e i costi con il cash outflow. In generale la gestione operativa crea un fabbisogno finanziario la cui entità e durata dipendono da come si combinano costi e ricavi e dal cosiddetto ciclo monetario, ossia dal tempo che intercorre tra l’uscita di cassa connessa all’acquisto delle materie e l’entrata di cassa connessa alla vendita dei prodotti. La struttura finanziaria dell’impresa deve essere coerente con la strategia adottata, pertanto la composizione del passivo diviso in debiti e mezzi propri deve riflettere la formula competitiva dell’impresa, e deve basarsi su considerazioni legate all’entità della leva finanziaria rispetto al grado di variabilità dei margini operativi.
Inoltre è molto importante la natura dei costi, le spese di investimento generano infatti fabbisogni con un termine più lungo o durevole rispetto a quelli della gestione corrente e perciò necessitano un differente tipo di finanziamento. In generale possiamo collocare nell’attivo fisso i crediti e le spese di investimento, in quello corrente invece le disponibilità liquidità, i crediti a breve termine, alcune spese finanziarie a breve termine, le spese anticipate e le rimanenze di magazzino. Al contrario nelle passività consolidate si inseriscono il capitale di credito e debiti con scadenza oltre l’esercizio, nel passivo corrente invece il capitale di credito e debiti con scadenza inferiore a dodici mesi e i ricavi anticipati e infine il capitale di rischio che non presenta una scadenza prestabilita è compreso nei mezzi propri. Affinché la struttura sia coerente con la strategia adottata ci deve essere una corrispondenza orizzontale tra fonti e impieghi che presentano la medesima dinamica finanziaria e quindi l’attivo fisso coperto da mezzi propri e passivo consolidato e attivo circolante coperto da passività correnti. Una mancata correlazione tra queste può generare un rischio di tasso di interesse, un rischio di rifinanziamento, se ad esempio la controparte bancaria si rifiuta di continuare a servire il fabbisogno finanziario dell’azienda, e la generazione di una posizione contrattuale debole nel negoziare finanziamenti assolutamente necessari. In genere si evidenzia una correlazione positiva tra giudizio sull’equilibrio finanziario e margine di struttura, quest’ultimo è dato dalla seguente equazione:
Margine di struttura = Mezzi Propri + Passivo Consolidato – Attivo Fisso (7)
Si avrà dunque un giudizio positivo se questo valore dovesse essere maggiore di zero, negativo in caso contrario. Il capitale circolante comprende tutte quelle poste dello stato patrimoniale connesse al ciclo di acquisto-produzione-vendita; Quest’ultimo può assumere valore positivo, se le poste dell’attivo hanno valore maggiore, o negativo se quelle del passivo sono superiori. Un capitale circolante netto negativo implica che l’impresa finanzia investimenti fissi anche tramite debiti correnti e ciò evidenzia una situazione finanziaria precaria. Un importante indice per analizzare tale disequilibrio è l’indice di liquidità, dato dal rapporto tra attivo corrente e passivo corrente o per renderlo uniforme al concetto di capitale circolante dato in precedenza possiamo definirlo come rapporto tra attivo e passivo circolante gestionale. Nella prima definizione l’indice di liquidità è inteso come rapporto tra attivo e passivo a breve, e un suo aumento segnala un miglioramento dell’equilibrio finanziario, tuttavia possono essere segnali falsi dettati da una copertura dell’innalzamento delle attività data da capitale proprio o a lunga scadenza. Se usiamo invece la definizione di rapporto tra attivo e passivo corrente di pertinenza gestionale allora non vi sono falsi segnali e si avrà una correlazione inversa tra equilibrio finanziario e l’indice di liquidità, ciò significa che se aumenta l’indice vi è un peggioramento dell’equilibrio finanziario. Un ulteriore approccio è quello che confronta il rendimento dell’attivo con il costo delle risorse finanziarie. Nonostante il criterio sia molto significativo non è perfettamente chiaro se l’equilibrio così trovato possa essere considerato finanziario oltre che economico: se il Return on Investment è maggiore del tasso medio sul debito si ha sicuramente una nota positiva ma il piano aziendale può non effettivamente conveniente per il ritardo dei ritorni finanziari. Un ulteriore metodo di verifica dell’equilibrio finanziario è rapportare il livello dei margini operativi con quello degli oneri finanziari, ossia verificare la tensione finanziaria. Quest’ultima è inversamente proporzionale a quante volte il margine operativo supera gli oneri finanziari. Numericamente avremo: EBIT/oneri finanziari, in cui l’Ebit è l’utile prima delle imposte. Fissato come limite il valore 1, ossia quando l’Ebit è uguale agli oneri finanziari e quindi il limite per cui i margini operativi riescono ancora a coprire il costo del debito, avremo che sopra tale soglia saranno limitate le conseguenze negative di un aumento del costo del debito o riduzione dei margini operativi. Tuttavia un valore troppo alto dell’indice non rispecchia una situazione migliore per l’impresa, si considera infatti che sopra al valore 5 l’impresa ha un potenziale di investimento non sfruttato o delle capacità di restituzione del capitale proprio eccessive. Tale indice è molto importante in quanto analizza sia la sfera finanziaria, tramite il debito, che quella economica, tassi e margini operativi; perciò se l’indicatore è basso l’analista deve capire se è dovuto a cause economiche o finanziarie. Solitamente si procede scomponendo l’indice in:
Ebit/ OF = (Ebit/V * V/D) / (OF/D) (8)
Ossia lo abbiamo scomposto in Ros, che sta per ” return on sales” ed è pari a Ebit/V, che moltiplica un indicatore di indebitamento rapportato alle vendite (V/D) tutto diviso per il costo medio del debito (OF/D). Si analizza poi l’indicatore OF/V, questo può dare informazioni importanti riguardo questo tema ma presenta dei limiti, e pertanto, tra i due, prevale l’indice Ebit/OF. In relazione all’analisi del valore complessivo dell’attivo e del passivo, l’impresa è in equilibrio finanziario quando l’attivo ha un valore superiore a quello del passivo. Tale analisi va fatta sui valori correnti di mercato e se l’impresa dovesse presentare un netto patrimoniale maggiore di zero allora può essere considerata in equilibrio finanziario. Il suddetto test deriva dalla concezione che il passivo possa essere rimborsato tramite l’attivo, tuttavia non è l’unica alternativa che ha la società; questa infatti potrà smobilizzare poste dell’attivo ma anche ricorrere all’autofinanziamento derivante dalla gestione operativa o mediante la contrattazione di nuovi finanziamenti che andranno a sostituire quelli precedenti.
L’analisi delle relazioni tra il flusso netto di cassa e lo sviluppo aziendale necessita di alcune procedure che si fanno sempre più complesse. In primo luogo occorre calcolare con precisione il flusso di cassa complessivo e la probabilità con la quale esso si verificherà e infine definirne una pianificazione nel tempo. Il primo problema richiederà dunque la capacità di distinguere tra flusso di cassa della gestione corrente, che tiene conto delle evoluzioni del capitale circolante, e flusso di circolante della gestione corrente. Per il secondo problema, ossia calcolare la probabilità delle previsioni fatte, bisogna integrare alle proiezioni finanziarie una visione d’insieme dell’evoluzione della formula imprenditoriale e del posizionamento nel mercato. L’equilibrio che stiamo dunque trattando sarà un equilibrio finanziario concepito in maniera dinamica, ossia visto nella sua proiezione temporale. Tale equilibrio dovrà essere collegato con il ritmo di sviluppo dell’impresa andando a ricercare il massimo tasso di sviluppo che può essere sostenuto. Si cerca dunque di identificare una traiettoria di crescita autofinanziata, ciò significa che un disequilibrio in tal senso coincide spesso con un livello eccessivo del debito. In generale tale disequilibrio avviene quando il flusso di cassa complessivo dell’impresa non è sufficiente a sostenere lo sviluppo, sia in termini di non riuscire a finanziare nuovi investimenti che non riuscire a remunerare coloro che apportano i finanziamenti. In merito alla struttura adottata l’equilibrio finanziario si ha in corrispondenza delle scelte finanziarie che massimizzano il valore della società o che in generale riesce ad ottenere performance economiche maggiori rispetto a quelle attese dal mercato dei capitali. A titolo esemplificativo, in un mercato efficiente privo di tasse, di costi fallimentari e di asimmetrie informative il valore dell’impresa è indipendente dalla struttura finanziaria. Ovviamente il mercato in cui le imprese operano e con cui si confrontano ogni giorno non è privo di tali imperfezioni, quindi la struttura finanziaria occupa un ruolo primario nella crescita del valore societario. Il direttore finanziario per trovare il punto di ottimo che massimizzi tale valore dovrà confrontarsi con i fornitori di capitale, sia di debito che di rischio, per mantenere relativamente contenuto il costo del capitale. Le scelte di molte imprese stanno ricadendo su tale metodo per cui le decisioni, qualunque sia la loro natura, sono vantaggiose se concorrono ad innalzare il valore complessivo dell’impresa.
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