La fattispecie degli omessi versamenti Iva e crisi di liquidità: gli aspetti penali.

La Corte di Cassazione con sentenza n. 37089/2018 è tornata ad affrontare il tema dell’omesso versamento delle imposte correlato a situazioni di crisi economica, soffermandosi sulla posizione di colui che, versando in condizioni di disequilibrio finanziario, non riesce a saldare il debito tributario causando ammanchi di gettito superiori alle soglie di tolleranza penali ammesse dalla legge. La vicenda sottoposta all’analisi degli Ermellini trae origine dal mancato pagamento dell’iva da parte di una società cooperativa, titolare di consistenti crediti insoluti verso clienti dichiarati falliti. Il mancato realizzo di tali crediti induceva la società ad omettere l’iva delle annualità 2009, 2010 e 2011 per un valore eccedente i limiti massimi di punibilità fissati all’art. 10-ter, D.Lgs. n. 74/2000.

Secondo il legale rappresentante la violazione era da ricondursi, oltre che al mancato incasso di fatture emesse nei confronti dei committenti insolventi, anche alla mancata concessione di finanziamenti bancari. I Giudici hanno accolto il ricorso prendendo atto dell’inesigibilità delle somme spettanti alla società la quale, dal suo canto, si era adoperata in tutti modi per riuscire a estinguere il debito iva senza tuttavia riuscirvi per cause indipendenti dalla propria volontà. Veniva così annullata la sentenza della Corte di Appello di Milano in ragione della mancata valutazione della “tempesta perfetta che si sarebbe abbattuta sulla società, impedendole di provvedere al versamento”.

Nel penale tributario la crisi di liquidità può integrare l’esimente penale di cui all’articolo 45 c.p. laddove il contribuente inadempiente dimostri che il deficit di liquidità sia attribuibile a cause di forza maggiore. L’accertamento della fatalità dell’evento dunque esclude l’elemento soggettivo della fattispecie di reato, ovverosia il dolo generico, inteso quale coscienza e volontà di sottrarsi all’obbligo di pagamento delle imposte.

Il consolidato indirizzo giurisprudenziale ha elaborato una serie di presupposti da verificare affinché possa operare la scriminante di forza maggiore. In particolare, occorre assolvere a precisi oneri di allegazione atti a dimostrare tanto la gravità quanto la non rimediabilità della crisi, più precisamente:

La crisi di liquidità non deve essere imputabile al contribuente, deve essere imprevista, imprevedibile e legata a fatti imponderabili (Cass n. 6113/2016;18501/2015;5905/2014);

Il contribuente deve aver compiuto tutte le azioni necessarie, anche sfavorevoli per il proprio patrimonio, volte a reperire la liquidità necessaria per il pagamento di quanto dovuto, senza esservi riuscito per cause estranee alla propria volontà (cfr. Cass.n.40314/2016;20725/2018;11035/2018);

Il responsabile del reato doveva trovarsi in uno stato di obiettiva e assoluta impossibilità di pagare le imposte. In altri termini occorre dimostrare che al contribuente non sia rimasta altra possibilità rispetto a quella di omettere il versamento, non essendoci alcun margine di scelta in ordine all’allocazione delle risorse finanziarie residue (Cass. n. 6737/2018; 18680/2015; 45690/2015).

La Suprema Corte tipizza riscontrava il nesso di causalità esistente tra il mancato pagamento delle prestazioni effettuate e l’omissione del tributo. L’impossibilità di incassare l’imposta addebitata a titolo di rivalsa preclude,  l’accantonamento delle risorse da destinare all’erario. Da un lato, quindi, risulta chiara la non imputabilità dell’evasione ad una precisa scelta imprenditoriale, dall’altro risultava altrettanto evidente l’assenza del dolo da parte del rappresentante legale.

 

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